Parlare di riposo, di ritmo più lento, di non fare, oggi è decisamente controcorrente. Tutta la modernità parla di fretta, velocità, risultati. La tecnologia, invece di alleggerirci le giornate, lasciandoci il tempo di dedicarci a quello che ci piace, ha moltiplicato le nostre possibilità d’azione e ci ha fatti ubriacare di iperattività ed efficienza. Ora possiamo essere al lavoro anche di notte, in vacanza, in bagno. È successo tutto molto rapidamente; nell’arco di poco più di vent’anni la fase acuta, con l’avvento dei PC e della telefonia mobile, preceduta da una preparazione di una sessantina d’anni di economia industriale in espansione.

Nonostante la nostra continua corsa contro il tempo, i risultati che raggiungiamo non ci soddisfano, ci lasciano delusi e pieni di interrogativi:
Dove abbiamo sbagliato? Cosa avremmo dovuto fare di più?
E se, invece, la domanda chiave fosse: Cosa avremmo potuto fare di meno?

Diamo per scontato che per ottenere buone prestazioni, per soddisfare le richieste di essere capaci di creatività ed efficacia serva agire, fare in fretta, affaticarsi. E se invece fosse vero il contrario?
E se tutto ciò di cui abbiamo bisogno è… un po’ più di riposo?

È tutt’altro che intuitivo il fatto che proprio fermandoci, e facendo delle pause, il risultato di qualsiasi cosa faremo, sarà migliore. Abbiamo tutto il necessario per trasformare le nostre vite e questa Terra in un paradiso, quello che manca è l’atteggiamento giusto per riconoscere come muoverci nel rispetto dei nostri bisogni profondi e dei nostri ritmi, e di quelli altrui.

Per il funzionamento stesso della nostra vita e del nostro mondo, diventa indispensabile il riconoscimento dell’importanza delle pause generative e rigenerative, come la natura ci insegna con l’alternarsi del giorno e della notte, con la ciclicità delle stagioni. È un atteggiamento che è sempre stato parte integrante della cultura umana, ampiamente diffuso fino a solo poche centinaia o decine di anni fa, a seconda dei luoghi. Spesso citato nella letteratura italiana, è il ben noto valore dell’otium romano, che circoscriveva un tempo libero da impegni, lavorativi, politici, militari o religiosi.

Quindi, con l’avvicinarsi del periodo tradizionalmente dedicato alle vacanze… bando alla smania di rapidità che impregna quasi ogni momento della nostra vita e, come alternativa, alleniamo la presenza, per ritrovare il nostro centro, il nostro ritmo, la sovranità sul nostro agire.

Possiamo rivitalizzare le nostre giornate con la gratitudine per i piccoli miracoli del quotidiano dell’essere vivi, del camminare, guardare, mangiare, esprimere il nostro parere, incontrare le persone con cui ci piace stare, sentire ed esprimere gli affetti, approfondire arti e pratiche che ci attraggono e mettono in gioco i nostri talenti, coltivare e realizzare i sogni.

Questa, è una rivoluzione interiore individuale, punto di partenza per una più vasta trasformazione. Quando recuperiamo la connessione con le nostra radici organiche possiamo affrontare con una nuova ottica anche le sfide epocali attuali, ponendo nuove basi per trasformare una società malata di efficientismo e plagiata dal falso mito della crescita senza limiti; una società che non ha ancora saputo trasformare la ricchezza materiale in qualità di vita, né per i pochi in cui questa si concentra, né per le moltitudini dimenticate. Ci vuole un termine preso a prestito dall’ecologia per orientarsi nuovamente verso una direzione capace di futuro: siamo, a tutti gli effetti, “ecosistemi”, a livello ambientale, sociale, economico, familiare e anche personale. E in tutti gli ecosistemi il giusto equilibrio tra fase attiva e fase ricettiva, tra fare e non fare, tra lavorare e riposare, è cruciale.

Tratto da Marcella Danon, Il potere del riposo, Feltrinelli, 2017.


Marcella Danon
Ecopsicologa, direttrice di Ecopsiché
Editoriale luglio 2024 – Ecopsicologia NEWS